Shuangbaotai - viaggio in occidente
Shuāngbāotāi
antisessista   
antifascista   
antirazzista   


sul nostro sito gemello taichi.do

contenuti © Roberta Lazzeri
grafica © arch. Marta Dituri
webmaster Lapo Luchini
xhtml e css validi

da VIAGGIO IN OCCIDENTE (西游记, Xīyóu Jì), di 吴承恩 (Wú Chéng'ēn)


Ago in fondo al mare

da VIAGGIO IN OCCIDENTE (Xiyou Ji), di Wu Cheng'en, tradotto da Serafino Balduzzi, 3a Edizione elettronica del 15 marzo 2001 - Cap. 3 - Tafferuglio infernale.

In cui mille montagne fra i quattro mari si inchinano in segno di sottomissione, e le dieci specie sono cancellate dal registro infernale delle nonuple tenebre.

Parliamo del trionfale ritorno del Bel Re Scimmia al suo paese: dopo aver distrutto il covo del Re Demonio del Caos e fatto bottino della sua grande sciabola, Scimmiotto passava le giornate impegnato nelle arti marziali. Aveva dotato le scimmie giovani di giavellotti di bambù e di sciabole di legno, e insegnava loro ad avanzare e ripiegare, accamparsi, piantare palizzate; tutto a colpi di fischietto, con segnali di stendardi e bandiere. Si erano divertiti così per un bel pezzo, quando Scimmiotto, in un momento di riposo, si mise a pensare ad alta voce: «E se qualcuno prendesse sul serio questi giochetti, che cosa ci potrebbe capitare? Ho paura che qualche re di uomini, o bestie, o uccelli, potrebbe prenderne il pretesto per attaccarci, dichiarare che le nostre esercitazioni militari preparano una ribellione, arruolare un esercito e venirci a massacrare. E voi che cosa gli otreste opporre, con le vostre pertiche di bambù e le spade di legno? Ci vorrebbero armi di metallo, lance aguzze, spade taglienti, alabarde. Come si fa?»
A sentirlo parlare le scimmie si allarmarono: «Vostra maestà pensa in grande, ma che cosa possiamo fare? Non abbiamo possibilità...»
Mentre si esaminava l’argomento si presentarono quattro vecchie scimmie, due macachi dal culo rosso e due gibboni dalle lunghe braccia. «Gran re» dissero facendosi avanti «se bisogna procurarsi armi taglienti, non è difficile.»
«Che cosa avete in mente?»
«A est della nostra montagna, al confine del paese di Aolai, si trova una distesa d’acqua i duecento li. Vi regna un re che possiede una città zeppa di gente e di soldati. Egli dispone sicuramente di manufatti d’oro, argento, bronzo, ferro e altri metalli. Se vostra maestà ci vuole andare, basterebbe acquistare o farsi fabbricare delle armi, e insegnarci a servircene per difendere il nostro territorio: non sarebbe questo il segreto di una durevole prosperità?»
«Restate a divertirvi e aspettate il mio ritorno» rispose Scimmiotto, lieto del suggerimento.
Che bravo re scimmia! Detto fatto: con una capriola nelle nuvole attraversò in un istante duecento li d’acqua e scoprì in effetti, dall’altra parte, mura e fossati di una città con diecine di migliaia di case e moltissime porte, compartita da viali ad angolo retto che circoscrivevano ampi mercati. La folla andava e veniva sotto il sole che brillava nel cielo. Scimmiotto si disse: «Qui di armi già pronte devono essercene molte: è più economico procurarsene un po’ con un trucco, che contrattare per comperarle.»
Fece i suoi passaggi, recitò l’incantesimo e, rivolto a sud-est, inspirò profondamente; poi espirò con tal forza che si alzò una violenta burrasca: la sabbia volava, le pietre rotolavano. Una cosa spaventosa!

Trema la terra mentre tuona il cielo,
Nere le nubi e turbini di polvere.
S’agita l’acqua spaventando i pesci.
Boschi sconvolti, tigri e lupi in fuga.
Son fuggiti mercanti e portatori.
Vuote botteghe, banchi abbandonati.
Il re lascia la corte e si ritira,
Si chiudon nello yamen gli ufficiali.
La statua di mille anni è rovesciata,
La torre è scossa dalle fondamenta.

La bufera aveva gettato nel panico tutto il paese: dal re all’ultimo dei sudditi, tutti si erano barricati in casa. Nessuno avrebbe osato circolare. Allora Scimmiotto diresse la sua nuvola dritta sull’ingresso del palazzo. Cercò l’arsenale, trovò l’entrata dell’armeria, ne forzò i battenti e vi scoprì un visibilio di armi: sciabole, lance, spade, alabarde, azze, francesche, picche, falci, sferze, rastrelli, mazze, tavolette, archi, balestre, tridenti - insomma tutto quello che si può immaginare. Molto soddisfatto a questo spettacolo, Scimmiotto si disse: «Da solo non posso portar via gran che: converrà fare il trasloco con l’aiuto della moltiplicazione del corpo.»
Bravo re scimmia! Si strappò un pelo, se lo mise in bocca, lo masticò, lo sputò intorno recitando l’incantesimo e, appena ebbe gridato: «Trasformatevi!», centinaia e migliaia di scimmiottini si sparsero indaffarati nei magazzini ad afferrare e a disputarsi gli oggetti. I meglio piantati ne prendevano sei o sette, i più mingherlini due o tre. Finirono per fare piazza pulita. Allora Scimmiotto risalì sulla sua nuvola e con il solito procedimento riportò tutto quanto al suo paese.
Le scimmie del Monte di Fiori e Frutti, grandi e piccole, mentre giocavano davanti alla grotta, sentirono soffiare un vento improvviso; il cielo si riempì di un immenso sciame di scimmiette. Quelle di sotto, prese dal terrore, corsero in disordine a nascondersi dove capitava. Il Bel Re Scimmia fece scendere la nuvola, la fece scomparire e con uno scrollone ricuperò il suo pelo; restarono le armi sparse qua e là ai piedi della montagna.
«Figlioli!» gridava «Venite a prendere le vostre armi!»
Vedendo Scimmiotto tutto solo in mezzo allo spiazzo, le scimmie accorsero a prosternarsi e a chiedere com’era andata. Scimmiotto raccontò come aveva usato il vento per impadronirsi del materiale e per trasportarlo. Le scimmie espressero la loro gratitudine e si gettarono sulle armi; chi impugnava una sciabola, chi una spada; altri brandivano asce, altri alzavano lance; questo tendeva un arco, quello caricava una balestra. Si divertirono tutto il giorno, fra grida e clamori.
Il giorno dopo ripresero le esercitazioni regolari. Quando Scimmiotto le riuniva tutte, contava almeno quarantasettemila scimmie. In breve furono in grado di tenere in rispetto tutti gli abitatori della montagna: lupi, tigri, leopardi, cervi, caprioli, daini, volpi, donnole, tassi, leoni, elefanti, gorilla, orsi, antilopi, cinghiali, bisonti, camosci, lepri e tanti altri.
I re di varie specie di antri diabolici, in numero di settantadue, vennero a prestare omaggio al re scimmia. Alcuni partecipavano alle manovre, altri fornivano provviste quando ce n’era bisogno. Tutto ciò in perfetta organizzazione, in modo che il Monte di Fiori e Frutti diventò una piazzaforte più solida di una botte di ferro, difesa meglio di una città con le mura di bronzo. I re diavoli delle varie province contribuivano anche con tamburi di bronzo, stendardi colorati, elmi e armature. Ogni giorno si ripeteva il clamore delle manovre e degli esercizi.
Fu dunque in mezzo all’allegria generale che il Bel Re Scimmia si rivolse un giorno alla moltitudine: «Ora siete bene addestrati a maneggiare armi, archi e balestre. Ma il mio sciabolone mi ingombra: non mi piace mica. Che fare?»
Le quattro vecchie scimmie si fecero avanti per fare rispettosamente notare a sua maestà che la sua natura di immortale lo rendeva inadatto a usare armi qualsiasi: «...ma non abbiamo idea se vostra maestà potrebbe camminare nell’acqua.»
«Da quando mi è stato rivelato il Tao, dispongo delle settantadue trasformazioni per influsso ctonio. La capriola nelle nuvole mi dà una divina e incomparabile ubiquità. Mi intendo delle arti di scomparire, nascondermi, innalzarmi e condensarmi. Conosco la via del cielo e quella del mondo sotterraneo. So camminare sotto il sole o la luna senza fare ombra, introdurmi senza difficoltà nelle pietre o nei metalli. L’acqua non mi può annegare e il fuoco non mi può bruciare. Non c’è posto dove non possa andare.»
«Poiché vostra maestà dispone di questi poteri divini, sappia che l’acqua che scorre sotto il ponte delle liste di ferro fluisce fino al palazzo del Drago del Mare Orientale. Se vostra maestà vuole andare a trovare il vecchio re drago, non è forse probabile che ne ottenga di soddisfare la richiesta di un’arma adatta?»
«Vado e torno. Aspettatemi!» replicò Scimmiotto, felice del consiglio.
Bravo re scimmia! Balza in capo al ponte, fa i suoi passaggi per aprire i flutti, si tuffa, penetra nella corrente e percorre la via nelle acque, fino a giungere in fondo al mare orientale. Se ne andava per la sua strada, quando uno yaksa di pattuglia lo fermò e gli chiese: «Tu laggiù, che ti apri l’acqua davanti, che personaggio divino sei? Presentati con chiarezza, perché ti possa annunciare!»
«Sono Consapevole del Vuoto, di nascita celeste, e vengo dal Monte di Fiori e Frutti, non lontano da qui. Come mai non mi conosci?»
A queste parole lo yaksa fece dietro front e corse al Palazzo Acquatico di Cristallo ad annunciare: «Maestà, c’è fuori un santo di nascita celeste del Monte di Fiori e Frutti, che si dice vicino di vostra maestà e che arriverà da un momento all’altro.»
Il re drago del Mare Orientale, che si chiamava Aoguang, si alzò subito e uscì incontro all’ospite, accompagnato da figli e nipoti, capitani granchi e soldati gamberetti.
«Eminente immortale, entrate, entrate!»
All’interno del palazzo si fecero le presentazioni. Il re drago installò Scimmiotto al posto d’onore, gli offrì il tè e poi chiese: «Quando avete ottenuto la realizzazione del Tao, eminente immortale, e di quali arti divine avete conoscenza?»
«Fin da piccolo ho abbandonato la famiglia per praticare il Tao e ho ottenuto un corpo senza morte né vita. Da ultimo mi sono impegnato ad addestrare i miei ragazzi per proteggere la nostra caverna nella montagna, ma mi sono reso conto che mi manca un’arma adatta. Da un pezzo ho sentito parlare del mio saggio vicino e del suo palazzo di diaspro con le porte di madreperla: poiché dovreste possedere una bella eccedenza di armi divine, mi sono permesso di venire appunto a sollecitarne una.»
Rifiutare sarebbe stato imbarazzante: il re drago mandò subito un pesce persico, che esercitava un alto comando regionale, a cercare uno sciabolone da difesa che presentò rispettosamente.
«Il vostro vecchio amico non si ritrova con le sciabole» disse subito Scimmiotto. «Vi prego di offrirmi qualcos’altro.»
Questa volta il re drago spedì un pesce siluro, che era il comandante in capo, e questi fece portare da un’anguilla gigante un tridente a nove punte. Scimmiotto saltò giù dal suo seggio, lo prese in mano e lo bilanciò: «È proprio leggerino. E poi non lo impugno bene. Non avreste qualcos’altro da propormi?»
«Eminente immortale» ribatté il re drago ridendo, «il tridente leggerino pesa tremila seicento libbre!»
«Ma non lo impugno bene, non mi convince.»
Il re drago incominciò ad aver paura: ordinò a un grasso abramide, che era alto commissario, e a una carpa generale di brigata di portare un’alabarda con l’asta decorata, che pesava settemila duecento libbre. Quando la vide, Scimmiotto si precipitò ad afferrarla: fece qualche mulinello, due o tre finte e, conficcandola a terra, dichiarò: «È inutile, non va, troppo leggera.»
A questo punto il re drago tremava di paura e balbettava: «Eminente immortale, credo che sia la cosa più pesante che abbiamo nel palazzo, non ho altro...»
«Andiamo!» esclamò Scimmiotto ridendo. «Tutti sappiamo il detto: il palazzo del drago non manca di tesori. Cercate meglio. Se trovate qualcosa che mi piaccia, lo pagherò fino all’ultimo centesimo.»
«Davvero non c’è altro.»
Mentre si scambiavano queste battute, la moglie e la figlia del drago, facendo capolino dal loro posto di osservazione dietro di lui, credettero opportuno di esprimere la loro opinione: «Maestà, non vedete che questo santo non va preso alla leggera? Non c’è forse in magazzino quel pezzo di ferro delle meraviglie, che era servito a misurare il fondo del fiume celeste? Da qualche giorno è diventato fosforescente e manda persino un profumo di buon augurio. Non vorrà dire che vuole incontrare questo santo?»
«È una sbarra che servì a Yu il Grande per drenare le acque e misurare quanto erano profondi fiumi e oceani, un pezzo di ferro magico; ma che cosa può farsene?»
«Che importa che cosa può farsene?» ribattè la moglie. «Daglielo, che ne faccia quello che vuole. Purché se ne vada.»
Il vecchio re drago seguì il consiglio e riferì la cosa a Scimmiotto, che disse: «Tiratelo fuori e vediamo!»
«È una parola» replicò il drago agitando la mano. «Non si riesce a trasportarlo, e nemmeno a muoverlo, tanto è pesante. Dovreste andar voi a dargli un’occhiata.»
«Va bene, fatemi vedere dov’è.»
Il re drago lo condusse in magazzino, e là si videro di colpo brillare mille fuochi.
«È lui che fa tutta questa luce» precisò il re drago mostrando il fenomeno col dito. Scimmiotto raccolse i lembi della veste, si avvicinò e lo tirò su: era un pilastro di ferro del diametro di un recipiente da uno staio, lungo più di due tese. Ci volle tutta la sua forza per sollevarlo: «È un pelino troppo grosso e troppo lungo. Se si potesse accorciarlo e assottigliarlo, andrebbe proprio bene...»
Lo aveva appena detto che il tesoro si accorciò di qualche piede e si assottigliò di un dito.
«Magari ancora un po’ più sottile» fece Scimmiotto bilanciandolo.
E la sbarra ubbidì.
Al colmo della soddisfazione, Scimmiotto la portò fuori dal magazzino per guardarla meglio: a ogni estremità c’era un cerchio d’oro, e in mezzo ferro nero. Sotto uno dei cerchi era incisa questa colonna di caratteri: Randello a Piacer Vostro, cerchiato d’oro. Pesa tredicimila cinquecento libbre.
«Immagino che questo tesoro si chiami così perché si adegua ai desideri del proprietario.»
Entusiasmato dalla scoperta, Scimmiotto camminava pensando e borbottando che il randello che teneva in mano sarebbe ancora migliorato riducendosi un altro po’ di dimensioni: a questo punto la sbarra non superava una tesa di lunghezza, né il diametro di una tazza.
Ecco che se ne torna al Palazzo Acquatico di Cristallo mettendo in mostra i suoi poteri magici con molte stoccate e mulinelli: il vecchio re drago continuava a tremare e i giovani principi si sentivano svenire; le tartarughe ritiravano la testa nel guscio, pesci, granchi e gamberetti si nascondevano.
Con il suo tesoro in mano, Scimmiotto si risiedette al posto d’onore nella sala grande del palazzo, e disse sorridendo al re drago: «Grazie mille. Sono commosso dalla vostra generosa attenzione, caro e saggio vicino.»
«Prego, non c’è di che.»
«È un bel tocco di ferraglia, non c’è che dire; tuttavia ci sarebbe un’altra cosa...»
«Che cos’altro, eminente immortale?»
«Se non avessi trovato questo pezzo di ferro, non sarebbe stato un problema. Ma adesso che ce l’ho, mi rendo conto che non ho niente da mettermi addosso che armonizzi: come si fa? Se per caso possedete qualcosa del genere, non fatevi scrupolo a offrirmela: non starò a mercanteggiare la mia riconoscenza.»
«Desolato, non ho niente del genere.»
«Se già hai scomodato un generoso, non ne disturbare un altro. Spiacente ma, se non avete altro, temo di non potermene andare.»
«Senza volervi importunare, eminente immortale, non potreste farvi un giretto in un altro mare? Magari là trovereste qualcosa.»
«Meglio star seduti in una casa, che correre a frugarne tre. Sul serio, fate un pensiero al mio equipaggiamento.»
«Vi assicuro che non ho niente. Se avessi qualcosa, ve l’avrei subito rispettosamente offerto.»
«Se non avete niente, pazienza. Permettete che collaudi questa sbarra sulla vostra testa?»
«Per carità, eminente immortale!» gridò il re drago, che aveva perduto il sangue freddo. «Non venitemi addosso! Aspettate che veda se hanno equipaggiamenti i miei fratelli minori; li chiamo subito.»
«E dove stanno, questi fratelli?»
«Sono Aoqin, il re drago dei mari meridionali, Aoshun che regna sul mare settentrionale, e Aojun, re dei mari occidentali.»
«Il buon Scimmiotto non andrà laggiù. Non ci penso nemmeno. Come dice il proverbio, meglio l’uovo oggi che la gallina domani: arrangiatevi voi a trovarmi qualcosa di bello, non chiedo altro.»
«Ma non occorre che vostra eminenza si muova. Ho qui un tamburo di ferro e una campana d’oro: in caso di emergenza, basta battere il tamburo e suonare la campana perché i miei fratelli arrivino subito.»
«E allora, spicciatevi a battere il tamburo e a suonare la campana.»
Un generale testuggine e un comandante tartaruga eseguirono immediatamente. Il messaggio pervenne ai re draghi degli altri mari; e subito, eccoli affollarsi all’ingresso del palazzo.
«Caro fratello maggiore» chiese Aoqin, «quale affare urgente ti ha spinto a far battere il tamburo e suonare la campana?»
«È una storia lunga, fratello mio. Abbiamo qui un santo nato dal cielo, di non so qual Monte di Fiori e Frutti, che è venuto con la scusa di una visita di buon vicinato e ha finito per chiedermi un’arma. Secondo lui il tridente d’acciaio era troppo piccolo, e l’alabarda troppo leggera. Infine ha sollevato quel pezzo di ferro prezioso che è servito a misurare la Via Lattea e si è messo a tirare di scherma. In questo momento se ne sta seduto dentro casa e pretende che gli dia un vestito adatto. Ma io non ne ho, e così ho fatto battere il tamburo e suonare la campana per pregarvi di venire, e chiedervi se potete aiutarmi ad accontentarlo per levarmelo di torno.»
Aoqin andò fuori di sé: «Fratelli, saltiamo addosso allo sfacciato e catturiamolo.»
«Non sai che cosa dici!» si spaventò il drago più anziano. «Una carezza di quella sbarra ti ammazza, un colpetto ti spacca in due. Solo a sfiorarla, ti porta via la pelle; a strofinarla, anche i muscoli.»
Intervenne Aojun, il più giovane, re dei mari occidentali: «In queste condizioni non si può mettergli le mani addosso: conviene procurargli quello che vuole e poi denunciarlo con un rapporto al Cielo, che provvederà a castigarlo.»
«Hai ragione» approvò Aoshun dei mari settentrionali. «Io ho qui dei sandali in fibra di loto per camminare sulle nuvole.»
«Io una cotta di maglia d’oro» disse Aojun.
«Io un elmo d’oro rosso con ali di fenice» concluse Aoqin.
Il fratello maggiore se ne rallegrò e li introdusse nel Palazzo Acquatico di Cristallo, dove incontrarono Scimmiotto e gli presentarono i loro doni. Consapevole del Vuoto si mise l’elmo in testa, infilò la cotta di maglia d’oro e i sandali. Brandito poi il suo randello di ferro come fosse uno scettro, corse via gridando ai draghi: «Vecchi rimbambiti! Non c’era niente in casa, a sentir loro. Cialtroni!»
I re dei quattro mari erano indignati. Si consultarono subito per presentare una querela in alto loco.
Ma per ora lasciamoli perdere. Guardate piuttosto il nostro re scimmia che si fa strada allontanando le acque e ritorna al ponte di liste di ferro, dove lo aspettavano le quattro vecchie scimmie alla testa della folla dei loro congeneri. Di colpo videro Scimmiotto che balzava fuori dall’acqua, perfettamente asciutto, e camminava sul ponte incontro a loro tutto lucente d’oro. Le scimmie si gettarono in ginocchio, tanto erano impressionate: «Gran re, che magnificenza, che splendore!»
Raggiante di gioia, Scimmiotto salì sul trono e appoggiò a terra la sbarra di ferro. Tutte le scimmie, nella loro innocenza, volevano prendere in mano il tesoro, ma non riuscivano nemmeno a smuoverlo, come fossero libellule alle prese con un albero di ferro. Ansimavano e lasciavano penzolare la lingua: «Mamma mia, com’è pesante! Come hai fatto a portarlo?»
Scimmiotto ci mise sopra la mano e lo sollevò. Disse ridendo alla folla: «Ogni cosa ha il suo padrone. Questo tesoro era sepolto in fondo al mare da chissà quanti millenni; ma proprio negli ultimi giorni ha emesso una luce. Il re drago non ci vedeva che un pezzo di ferro nero, che era servito per misurare la Via Lattea. Dal momento che nessuno di quei giovanotti era in grado di portarlo, e nemmeno di sollevarlo, mi hanno detto di andare a prendermelo da solo. Questo coso era lungo più di due tese e grosso come uno staio. Quando l’ho avuto in mano, l’ho trovato troppo grande: è bastato il pensiero, perché diminuisse parecchio. Ho continuato a rimpicciolirlo, due o tre volte. Guardandolo alla luce ho visto che c’è scritto: Randello a Piacer Vostro, cerchiato d’oro. Pesa tredicimila cinquecento libbre. Fatevi da parte che vi faccio vedere come si usa.»
Rigirando il tesoro tra le mani, gridò: «Piccolo, più piccolo!» La sbarra si ridusse alle dimensioni di un ago da ricamo, che si poteva nascondere dietro l’orecchio. Le scimmie, impressionate, si misero a gridare: «Gran re, tiratela fuori, fateci divertire ancora!»
Scimmiotto esplorò dietro l’orecchio per trovare l’ago, se lo mise sul palmo della mano e ordinò: «Grande, più grande!»
L’ago riprese le dimensioni di una sbarra di due tese, grossa come uno staio. Scimmiotto si fece prendere dal gioco. Uscì dalla grotta e, col tesoro stretto in mano, ricorse a uno dei suoi trucchi di magia cosmica. Gridò, facendo una riverenza: «Crescere!» e prese le dimensioni di una montagna di diecimila piedi, con la testa alta come il Taishan, la schiena come una ripida scarpata, gli occhi lampeggianti, la bocca come un lago di sangue, i denti come alabarde; quanto al bastone che teneva in mano, un capo toccava il trentatreesimo cielo e l’altro il diciottesimo inferno.
L’apparizione gettò in tale spavento tigri, leopardi, lupi e le altre creature di tutta la montagna, così come i re diavoli delle settantadue caverne, che si prosternarono con la fronte a terra, tremando come foglie, con le anime sul punto di separarsi dai corpi.
In un batter d’occhio, Scimmiotto riprese le sue dimensioni normali, ridusse il tesoro alle dimensioni di un ago da ricamo, lo nascose dietro l’orecchio e ritornò nella grotta a ricevere l’omaggio degli impauriti re diavoli.
Fu allora che si spiegarono le bandiere, si batterono i tamburi e si fecero rimbombare i gong di bronzo. Al grande banchetto, che offriva mille rari sapori, le coppe erano sempre colme di vini di palma e d’uva. Scimmiotto festeggiò a lungo con la folla e alla fine, quando si ripresero le manovre, conferì alti incarichi di comando alle quattro vecchie scimmie. I due macachi dal culo rosso divennero i marescialli Ma e Liu, mentre i gibboni dalle lunghe braccia furono i generali Beng e Ba. Dislocazioni di accampamenti, scavi di trinceramenti, premi e punizioni, tutto era affidato a questi quattro comandanti in capo.

Scimmiotto medico

da VIAGGIO IN OCCIDENTE (Xiyou Ji), di Wu Cheng'en, tradotto da Serafino Balduzzi, 3a Edizione elettronica del 15 marzo 2001 - Cap. 69.

In cui il maestro del mentale prepara un rimedio nella notte, e il sovrano durante il banchetto parla di un mostro perverso.

L’eunuco di servizio accompagnò Scimmiotto negli appartamenti privati. Davanti alla porta della camera da letto del re, il Novizio gli diede i tre fili d’oro con queste istruzioni: «Pregate la regina, o chi al momento l’assiste, di legarli al polso sinistro di sua maestà, nei punti detti pollice, passo e piede. Poi passatemi l’altro capo attraverso la finestra.»
L’eunuco ubbidì. Scimmiotto prese il capo pollice fra pollice e indice, quello passo fra pollice e medio e quello piede fra pollice e anulare e regolò la propria respirazione; quindi esaminò i quattro umori, le cinque oppressioni, i sette sintomi esterni del polso e gli otto interni, senza trascurare le nove aspettative. Passò dal lieve al medio al pesante, e poi seguì l’ordine inverso; in questo modo fu in grado di distinguere l’origine del vuoto da quella del pieno. Chiese che i fili fossero legati al polso destro e ripeté il medesimo esame sistematico; alla fine, con una scossa, ricuperò i suoi peli.
Pronunciò la diagnosi con voce tonante: «Le pulsazioni pollice del polso sinistro di sua maestà sono forti e tese; quelle passo vischiose e languide; quelle piede cave e sommerse. Quelle del polso destro, al pollice sono fluttuanti e sfuggenti; al passo lente e nodose; al piede costanti e accelerate. Nell’ordine, il polso sinistro significa: vuoto interno e dolore al cuore, traspirazione e crampi, orina rossa e feci sanguinose. Il polso destro: nodosità interne e meridiani bloccati, ritenzione di liquidi, squilibrio fra pieno pesante e vuoto freddo. Ed ecco la diagnosi dell’augusto male: esso è dovuto all’ansia e alla paura, e il suo nome è la coppia di uccelli si è perduta.»
Il re, dalla sua camera, raccolse tutta la voce che poteva e gridò: «Bravo, avete capito tutto. Sono proprio i disturbi di cui soffro. Ora andate a prepararmi un rimedio adatto.»
Quando il grande santo ritornò nella sala d’udienza, si era già sparsa la notizia che il consulto aveva avuto successo. Tripitaka gli andò incontro a chiedere come si erano svolte le cose. «Ho sentito il polso e ho fatto la diagnosi» riferì Scimmiotto. «Adesso dovrò scombiccherare una terapia.»
«Divino monaco, avete diagnosticato la coppia di uccelli si è perduta: che roba è?» chiesero timidamente i cortigiani.
«C’era una volta una coppia di uccelli» raccontò sorridendo Scimmiotto; «erano molto affezionati e volavano sempre insieme. Ma all’improvviso una bufera li separò: il maschio cerca la femmina e non la trova; la femmina cerca il maschio e non lo trova. Non è appunto: la coppia di uccelli si è perduta?»
Accademici e cortigiani applaudirono: «Questo divino monaco, che gran medico!» E non finivano più di lodarlo.

Wu Cheng'en

Wu Cheng'en (tradizionale: 吳承恩, semplificato: 吴承恩, pinyin: Wú Chéng'ēn, Wade-Giles: Wu Ch'eng-en) (1504? - 1582?) scrittore cinese della dinastia Ming. Nato a Huai'an, nella attuale provincia di Jiangsu, studiò alla Nanjing Taixue (l'antica Università di Nanjing) per più di 10 anni
È considerato l'autore di "Viaggio in Occidente", una dei "quattro grandi libri meravigliosi" della letteratura classica cinese.

Questa biografia è distribuita in base alla Free Documentation License. Essa utilizza materiale tratto dall'articolo di Wikipedia "Wú Chéng'ēn".